13/09/2024


Anche ove il contratto collettivo applicato non lo preveda, il datore di lavoro deve avvisare il dipendente che sta superando il periodo di comporto, qualora nelle buste paga fosse indicato un numero di assenze per malattia inferiore a quelle effettive. Ciò ove la circostanza sia idonea - nel contesto - a generare nel lavoratore un ragionevole affidamento sul numero di assenze conteggiate dalla società, tale da poter qualificare il mancato avvertimento come condotta contraria a buona fede. Non appare dirimente il fatto che il dipendente avrebbe potuto verificare, in autonomia, il numero di assenze effettive accedendo al sito internet dell’INPS. La pronuncia conferma Corte d’Appello di Roma 20/09/2021 che avevo precedentemente segnalato (Link nel primo commento sotto). Va osservato che le due decisioni non intendono espressamente alterare il principio secondo il quale - salve specifiche previsioni dei contratti collettivi - il datore di lavoro non ha alcun obbligo di preavvertire il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto. Lo applicano però nel caso specifico nel senso dell’esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede. La questione della buona fede è una delle più complesse ed ha negli ultimi lustri ritrovato una seconda giovinezza, soprattutto nell’ambito del Diritto del Lavoro. Mi ha ad esempio colpito tempo fa Cass. 04/12/2020 n. 27913 nella quale si legge: “Tale interpretazione estensiva della citata norma del codice civile (ndr. l’art. 2087 c.c.) si giustifica alla stregua dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., già da epoca risalente, Cass. nn. 7768/95; 8422/97), sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute – art. 32 Cost., sia per il principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio – artt. 1175 e 1375 c.c., disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali (Generalklauseln) – cui deve essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro”. Va detto che lo stesso può rilevare anche a beneficio del datore di lavoro. Sul punto rinvio alla mia riflessione “La quantificazione del danno nel caso di “incolpevole” illegittimità del licenziamento”, in Labor - Il Lavoro nel diritto Aggiornamenti 13 agosto 2023 (Link nel primo commento sotto) A me pare che la giurisprudenza degli ultimi anni sta subendo una virata verso un modello di common law. Favorisce il processo il “consolidarsi” di alcuni principi (giuridici) generali - di sapore tipicamente anglosassone. Tuttavia il parallelo consolidarsi di alcune discipline “di conformità” estremamente dettagliate - sovente presidiate da authority - pone il tema della coesistenza di due tecniche tradizionalmente alternative.


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