14/10/2024


Per la subordinazione non basta lo stabile inserimento sul posto di lavoro, se non accompagnato dalla prova sulle direttive ricevute dal lavoratore. È questo il principio espresso dalla recente pronuncia della Cassazione la quale – cassando con rinvio la sentenza impugnata – ha espresso il principio di diritto per cui ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, occorre avere riguardo al concreto atteggiarsi del potere direttivo del datore, il quale, per assurgere a indice rivelatore della subordinazione, non può manifestarsi in direttive di carattere generale (compatibili con il semplice coordinamento sussistente anche nel rapporto libero professionale), ma deve esplicarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, stabilmente inserita nell'organizzazione aziendale. Peraltro, in caso di prestazioni di natura intellettuale o professionale, l'assoggettamento del lavoratore a tali direttive si presenta in forma attenuata, in quanto non agevolmente apprezzabile a causa dell'atteggiarsi del rapporto; sicché, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari: ✔️ continuità delle prestazioni; ✔️ dell'osservanza di un orario determinato; ✔️ del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita; ✔️ del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro; ✔️ dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale. Nel caso di specie tutti i testimoni escussi avevano semplicemente dato atto della continuità di presenza nei locali aziendali del lavoratore, senza nulla dichiarare in ordine all’esercizio del potere direttivo su di lui da parte del superiore gerarchico, così incorrendo la sentenza della Corte d’Appello di Roma, così incorrendo in un evidente errore di diritto, per violazione in particolare dell'art. 2697 c.c., facendo applicazione più unica che rara dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. L’art. 2697 c.c. è, infatti, censurabile per cassazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata. Ed è proprio l’ipotesi ricorrente nel caso di specie, per avere la Corte capitolina erroneamente invertito l’onere probatorio: in totale assenza, per le ragioni dette, della positiva dimostrazione, a carico del lavoratore della natura subordinata della prestazione di attività resa, essa ha accertato l’esistenza di un rapporto lavorativo subordinato tra le parti per non avere la parte datoriale assolto l’onere, indubbiamente a suo carico, di gratuità della prestazione lavorativa.


subordinazione direttive lavoro autonomo

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