la Cassazione afferma che, ai fini di ritenere integrato un intento fraudolento ed un uso abusivo del rapporto di lavoro a termine, è necessaria la presenza di elementi ulteriori rispetto al dato, del tutto insufficiente, rappresentato dal numero dei contratti e dall'arco temporale della loro stipula.
Il fatto affrontato
Alcuni dipendenti ricorrono giudizialmente al fine di sentir dichiarata l’illegittimità del termine apposto ai loro contratti di lavoro.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo che il solo numero dei contratti a tempo determinato e l'arco temporale in cui si erano succeduti rappresentavano elementi insufficienti per poter ritenere integrata una frode alla legge.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che all'accertamento dell'utilizzazione abusiva del contratto a tempo determinato si può addivenire attraverso una ricostruzione degli elementi allegati nel processo che, congiuntamente valutati, devono convergere nel far ritenere provato un intento fraudolento del datore di lavoro.
In particolare, per la sentenza, il giudice di merito – cui è demandata detta indagine – può desumere l'uso deviato e fraudolento dell’istituto in questione da elementi quali il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, l'arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale che emerga dagli atti.
Secondo i Giudici di legittimità, non è ravvisabile la fraudolenza, laddove - quantomeno nel settore marittimo oggetto della fattispecie di causa - fra la cessazione di un contratto e la stipulazione di quello successivo intercorra un periodo superiore ai sessanta giorni.
Su tali presupposti, la Suprema Corte – non ritenendo sufficienti gli elementi acquisiti per provare l’intento fraudolento della società – rigetta il ricorso proposto dai lavoratori.
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