05/05/2025


Con la decisione n. 9721 del 14.4.2025, pronunciandosi in tema di (presunta) responsabilità professionale di un commercialista, la S.C. ha svolto un'approfondita analisi dei principi in materia di responsabilità professionale, con particolare riferimento all'onere della prova e al nesso di causalità, confermando l'orientamento consolidato che richiede una rigorosa dimostrazione del rapporto eziologico tra condotta professionale ed evento dannoso anche nell'ambito della responsabilità contrattuale. Il caso riguardava un'azione di responsabilità professionale promossa da una società e dai suoi soci nei confronti del commercialista della medesima, al quale veniva contestata una condotta professionale colposa che, a dire degli attori, avrebbe originato un accertamento fiscale per maggiori imposte, contributi e sanzioni liquidati dall'Agenzia delle Entrate, per importi molto rilevanti. La domanda, rigettata in primo grado ed in appello, non ha incontrato miglior sorte in Cassazione, ove la Corte ha respinto il ricorso, con plurime argomentazioni. Innanzitutto, quanto al nesso causale, ha rilevato che, appunto in forza del principio del "doppio ciclo causale" in tema di responsabilità professionale, i ricorrenti non avevano fornito la indispensabile prova del nesso eziologico tra la condotta del commercialista e l'accertamento fiscale, che non derivava dalle irregolarità contabili ma da un'autonoma iniziativa dell'Agenzia, oltre al fatto che la non congruità rispetto agli studi di settore dipendeva dal basso livello dei ricavi dichiarati. Inoltre, nell’esaminare il rapporto tra irregolarità contabili e accertamento fiscale e valutare la rilevanza causale delle anomalie del libro cassa rispetto all'accertamento, la Corte ha evidenziato che l’irregolare tenuta del conto cassa non aveva costituito il presupposto causale degli accertamenti, non avendo i ricorrenti in alcun modo provato che, senza le presunte negligenze del professionista, l'accertamento non sarebbe stato effettuato. Infine, con riguardo ai danni lamentati, la Corte ha rilevato come le maggiori imposte accertate non costituivano automaticamente un danno risarcibile, occorrendo invece dimostrare che le imposte in questione effettivamente non erano dovute, con conseguente condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c. (oltre che alle spese di lite). Al di là della statuizione sul caso concreto, dalla stessa emerge, a mio avviso, come la S.C. abbia ormai reso incontrovertibile (ove mai vi fosse ancora qualche dubbio) che la regola del c.d. “doppio ciclo causale” costituisce ormai ius receptum in tutte le ipotesi di responsabilità professionale, sancendone la valenza di principio generale e non circoscritto alle sole controversie in relazione alle quali la S.C. lo ha per la prima volta applicato, ovvero quelle in tema di medmal (tramite la notissima Cass. civ., sez. III, 26.7.2017, n. 18392)


responsabilità professionale

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